Cibo degli Dei

7 aprile 2013 ESSEN - A Taste Magazine

«Ma se ci si sforza di descrivere il sacrificio, anziché definirlo, si constata che esso è principalmente una cucina: una preparazione consistente talvolta nella combinazione e sempre nella cottura di sostanze commestibili.»
Charles Malamoud
Cuocere il mondo

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Rito, offerta, dono… il rapporto fra cucina e sacrificio non è cosa che possa venir approcciata con superficialità.

Millenni di tradizione, in ogni angolo di Mondo, ci forniscono indizi attraverso i quali studiare il profondo e delicato equilibrio tra religione e alimentazione.

Nella storia delle dottrine è banalmente evidente la forte correlazione fra offerta votiva e alimentazione. In ogni epoca, in ogni cultura, ma soprattutto in ogni casa (non solo nei luoghi di culto) si è sempre donato cibo ai propri santi, spiriti, avi, dei; in cambio di pace, tranquillità, salute, coraggio, forza, benessere. Meno evidente e molto più complesso, spiegare e comprendere le simbologie profonde, le dinamiche rituali, i significati dei gesti e dei legami, in assoluto ed in correlazione alle strutture metafisiche di riferimento.

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In Thailandia, dove un sereno e leggero buddismo si mescola ai profumi di uno “spiritualismo naturale” mai soffocato, dai chedi in rovina alla scintillante Bangkok occidentale, tra gli alberi delle foreste come fuori da ogni boutique alla moda, colorati pasti vengono offerti agli dei protettori della casa e delle attività commerciali.

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Piccoli bocconcini di riso, dumplings, mandarini si alternano a prodotti industriali dei 7Eleven. In un Paese che corre veloce sulla via della così detta evoluzione globale, la radice rituale non muore ma si trasforma, tenendo il passo col frenetico ritmo del “progresso”.

Per quanto mi riguarda, l’ultima volta che ho lasciato in offerta del cibo, avevo sei anni e aspettavo Babbo Natale. In offerta, o meglio, in cambio di un ricco pacco regalo, sistemai vicino al camino una fetta di panettone, un bicchiere di latte e un mandarino. Nella mia infanzia, un parente abbastanza coraggioso si curava di dare un bel morso e di lasciar tracce su un bicchiere mezzo vuoto anche dopo il cenone. Mi viene da commentare che il simbolismo era già stato superato da un più concreto concetto di baratto.

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Interrogando parenti e amici, c’è chi si ricorda di quando si lasciavano fuori dalla finestra dei dolci la notte del 31 di ottobre, per i morti. Ho assistito anche a diatribe tra chi rimpinzava San Nicola il 6 di dicembre e chi Santa Lucia il 13. Poco importa, ma il verbo usato per descrivere queste pratiche è sempre al passato.

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Dovremmo non dimenticare così in fretta. Tenerci stretti i racconti dei nonni e tramandarli ai nostri figli, perché se alcune nozioni si possono pur sempre recuperare in rete, le ricette dei santi della nostra nonna, sono solo, a sua volta, quelle della sua nonna, e andranno troppo presto perdute.

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Ad ogni modo, io, oggi, mi sento dell’umore giusto per offrire una prelibatezza ai miei spiritelli domestici Thailandesi. Per esser certa di farli stare buoni, preparerò loro, senza ombra di dubbio, una papaya salad!

Papaya salad

La parte più difficile consiste nel recuperare della papaya verde, ossia non ancora matura, e un grande mortaio in legno.

Gli ingredienti sono:

Pomodoro; Fagiolini; Peperoncini freschi o secchi;  Aglio; Zucchero di Palma; Lime; Noccioline; Salsa di Ostriche.

Cominciate a pestare nel mortaio dapprima l’aglio, il peperoncino, i fagiolini (crudi) e i pomodori. Poi aggiungete la papaya. Senza esagerare con il pestato, per insaporire, equilibrate i tre sapori di base: zucchero, succo di lime e salsa di ostriche. Inpiattate e condite con le noccioline, se preferite tostate.

Ne risulterà un’insalata fresca e piccante. Ideale per rassicurare gli spiriti e godersi una domenica d’estate (se arriva…).

Articolo pubblicato originariamente su ESSEN – A Taste Magazine