L’Annosa Questione

30 giugno 2013 ESSEN - A Taste Magazine

Da un vuoto dinamico originano tutte le cose – massima Zen

Qualche mese fa, parlando di osti ed osterie avevo tenuto a sottolineare come non fosse il caso, in tale circostanza, di tirare in ballo l’uovo e la gallina a proposito del primato cronologico degli uni rispetto alle altre. Era, di fatto, evidente come senza l’oste non potesse nascere l’osteria – talmente evidente che l’esistenza di un’osteria senz’oste mi aveva spinto a scrivere di questo strano fenomeno.

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Oggi, nell’attesa di affrontare (forse) un giorno l’annosa questione, scanso ancora il dualismo (e la gallina) per dire due parole, tra le infinite possibili, sull’uovo, sul mondo che lo circonda, sul mondo che contiene.

Scegliere un ambito di riferimento è tanto arbitrario quanto difficile… impossibile la completezza,  facile una sparpagliata rassegna multidisciplinare, divertente individuare una possibile chiave di lettura che crei un percorso lineare.

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Alimentazione, simbolismo, cosmogonia, cucina, eros, pittura, anatomia, design, chimica, filosofia, moda, letteratura, musica, cosmetica, religione (sentitevi liberi di continuare l’elenco all’infinito) sono solo alcuni dei campi che in un modo o in un altro rientrano nel maremagnum bagnato d’uovo.

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Emblema di vita nuova presso tutti i popoli, accompagna i defunti fin dall’oltretomba etrusco, è simbolo di resurrezione per i primi cristiani, origine del Mondo nella cosmogonia finlandese, con cui il simbolismo della Scienza Sacra condivide l’immagine delle due metà di guscio che formano terra e cielo nel simbolo dell’Uovo del Mondo e nella sua analogia con con la Caverna (di cui richiama il suolo e la volta). Galeno ne prescrive un largo consumo agli anziani, Ovidio le consiglia  a chi debba sostenere una lunga tenzone erotica – chiedere a leggendari amatori come Enrico IV di Francia e Casanova, il primo era addicted di una originaria forma di zabaione, il secondo si preparava ai convegni amorosi ingurgitando insalate di albumi condite con olio e aceto – Apicio le frigge e le accompagna con salsa di garum o di liquamem a colazione, e Trimalcione le offre (di pasta frolla) ai suoi commensali che con grande sorpresa, rotto il guscio con un cucchiaio, vi trovano “immerso nel tuorlo pepato un beccafico bello grasso” (o un vivo uccellino svolazzante del “Fellini Satirycon”). L’uovo con il sale è il piatto più buono del mondo, parola di Dante Alighieri negli scritti di Achille Campanile; mentre Leonardo prima di usarlo emulsionato con olii fluidificanti per la realizzazione della tempera grassa che componeva alcuni dei colori dell’Ultima Cena, lo amava semplicemente sodo ma con uno stile perfettamente “leonardesco” e cioè estraendo il tuorlo e mischiandolo ad un trito di pinoli e pepe nero per poi riposizionare il composto nell’incavo dell’albume. Sì, nemmeno Leonardo ha osato intaccare il perfetto design della natura, forse anche lui pensava che “l’uovo ha una forma perfetta, benché sia fatto col culo”, no, non sono gratuitamente volgare: cito, l’ha detto Munari, mica io.

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E poi le uova surrealiste di Dalì, i concerti nell’uovo di Bosch, l’uovo di Piero Manzoni (un anno prima della più famosa merda), e chissà quanti altri ne sto scordando; le 3000 uova impilate dalla contadina Isabella (Sophia Loren) che si schiudono e ne escono pulcini rovinando il pranzo in onore del principe (Omar Sharif) in “C’era un volta” di Rosi; le “uova da latte” di “Deserto Rosso” di Antonioni, da bere “al nono giorno, quando il tuorlo sta per diventare pulcino”; le uova che si rompono da sole e sfrigolano sul piano della cucina di Sgourney Weaver, infestata dai fantasmi in “Ghostbusters”; sfrigolano anche, naturalmente, in padella con il bacon, nella colazione psichedelica di Alan (circa all’ottavo minuto di Alan’s Psychedelic Breakfast, il brano conclusivo dell’album Atom Heart Mother dei Pink Floyd); le omelette e le uova alla coque di “Fatti un pianto” di Battisti, “Un uovo sodo” di Zucchero e, sempre suo, “Il pelo nell’uovo”.

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“Cercare il pelo nell’uovo”, “l’uovo di Colombo”, “rompere le uova nel paniere”, “gallina che canta ha fatto l’uovo”, “meglio un uovo oggi che una gallina domani” (ahia, ci risiamo con il dualismo), “essere pieno come un uovo”…

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Ma pieno di cosa? E se l’uovo fosse pieno di vuoto?

Esperimento: l’uovo pieno di vuoto.

Svuotate un uovo praticando due piccoli fori alle estremità opposte del guscio facendo estrema attenzione a non creparne minimamente la superficie (anche una sola minuscola crepa farà sì che il guscio si rompa in cottura)

Mescolate tuorlo e albume a mo’ di frittata (non aggiungete sale)

Re-iniettate con una siringa il composto dentro l’uovo (sempre con estrema cautela) fino a che non fuoriuscirà dal foro opposto (fatene colare fuori un bel po’ in modo da essere certi che l’uovo sia pieno e non abbiate semplicemente incontrato una sacca d’aria)

Cuocetelo come un uovo sodo per non più di cinque minuti.

Raffreddate e sbucciate, se l’esperimento è andato a buon fine avrete un uovo sodo al cui interno non ci sarà più distinzione tra albume e tuorlo ma un’unica massa continua che nella sua pienezza indistinta rappresenta un vuoto ideale.

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Articolo pubblicato originariamente su ESSEN – A Taste Magazine