Il Lardo di Canova e il Grasso di Beuys

26 maggio 2013 ESSEN - A Taste Magazine

Cosa accomuna Antonio Canova e Joseph Beuys?

Esperti d’arte avranno senza dubbio risposte interessanti su questo o quell’altro elemento formale, sulla sintassi espressiva dell’artista e/o su argomenti tecnici che io ignoro e che mi piacerebbe conoscere, così come altre migliaia di cose sparse nel piccolo universo dello scibile umano.

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I semplici appassionati potrebbero dire, in maniera decisamente pragmatica, che erano due artisti, alcuni un sincero “boh”; i non-esperti e nemmeno-appassionati anche “chi?”.

In questo caso io appartengo alla categoria dei pragmatici, ma se mi si chiedesse di andare oltre sfrutterei il sincero “boh”, così su due piedi.

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Tuttavia, qualche settimana fa ho visitato il Museo e Gipsoteca Canova a Possagno, il piccolo paese natale del grande Antonio, e mentre mi aggiravo tra i modelli e i calchi in gesso cercando di evitare l’onnipresente visita di gruppo saltando dalla sala ottocentesca all’ala nuova progettata da Carlo Scarpa (che ultimamente incrocio con una certa frequenza), leggero come la Danzatrice con i cembali, non ho potuto fare a meno di udire una frase della folcloristica anziana guida intenta a raccontare la metodologia di lavoro del Canova.

Il cicerone parlava di “grasso di maiale”, il mio saltellare si è istintivamente bloccato.

“Grasso di maiale, cosa?” mi sono chiesto.

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Il Canova, così raccontava l’esperto al variegato e curioso pubblico domenicale, in una fase precisa della preparazione dei calchi in gesso era uso cospargerne l’interno con grasso di maiale per facilitare il distacco del modello una volta pronto.

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La prima cosa che mi ha punto la memoria è stato l’odore lievemente acre del grasso; il ricordo olfattivo ha richiamato un’immagine e un luogo precisi nella mia testa: la grande sala  dell’Hamburger Bahnhof di Berlino dove era esposto un incredibile lavoro di Joseph Beuys, lo sciamano”, come veniva chiamato nell’ambiente dell’arte contemporanea. Enormi masse, dalle forme geometriche irregolari, modellate dal grasso di maiale e mantenute solide a distanza di decenni grazie ad una rigorosa regolazione termica della stanza (controllata a vista da una tedeschissima guardia museale) spandono un sottile odore nell’ambiente appena ingiallito dal riflesso dei neon sui blocchi lucidi e duri.

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Dal grasso di maiale al burro il passo è breve, e così mi sono ricordato del grottesco e divertente aneddoto relativo ad un’altra opera dell’artista tedesco: “Fettecke”, ovvero, “L’angolo di grasso”.

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In occasione della visita del rappresentante del Dalai Lama in Europa, il Lama Sogyal Rinpoche, il 28 Aprile 1982, Beuys incastrò/spalmò cinque chili di burro in un angolo del suo studio, il numero 3 della Staatlichen Kunstakademie di Düsseldorf; quattro anni più tardi, qualche mese dopo la morte dell’artista, il povero custode dell’Accademia “pulì” malauguratamente il muro, distruggendo l’opera di Beuys e scatenando le ire dell’artista Johannes Stüttgen che ne rivendicava la proprietà come dono dell’amico e maestro, riuscendo ad ottenere un risarcimento dal Land del Nord Reno-Westfalia di quarantamila marchi.

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La voce della guida si allontana e con lei i gitanti, lasciandomi solo davanti alle burrose forme di una placida ninfa distesa su un fianco. Il burro di Beuys cola dalle pareti della mia mente, dona ai marmi canoviani la loro morbida essenza e vola in un lungo viaggio nel tempo tra le mani del bambino Canova. Antonio ha sette anni e segue il nonno Pasino, tagliapietre e scultore, impegnato nella decorazione di una villa nobiliare ad Asolo. Il committente veneziano, il senatore Falier ha nobili ospiti in visita dalla città ed organizza un banchetto a cui prende parte anche Pasino col nipote. Il piccolo “Tonin” si annoia durante la cena dei grandi, tutto quel cibo “strano” [speziato] e quelle chiacchiere che non capisce… allora prende un panetto di burro che giace sornione davanti al suo piatto e con il coltello e le dita minute comincia ad intagliare il grasso. Dopo solo qualche minuto dal morbido panetto emergono le fattezze di un maestoso leone. Falier e i suoi ospiti interrompono, stupefatti, le chiacchiere, il nonno Pasino accenna un sorriso imbarazzato e balbetta delle scuse incomprensibili, il piccolo “Tonin” è compiaciuto del suo lavoro e guarda divertito il leone che punta immobile gli avanzi nei piatti*. Il giorno seguente il senatore, folgorato dalla maestria del ragazzo, decide di prendersi cura della sua formazione professionale e lo introduce nello studio dei Torretti, scultori affermati in laguna che sono rientrati momentaneamente a Pagnano d’Asolo e ben presto apriranno al piccolo “Tonin” le porte di Venezia. Il resto è storia.

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*non è dato sapere di che avanzi si trattasse, né se la vicenda si sia svolta effettivamente in questi precisi termini, ma perché non potrebbe?

Ricetta

Burro fatto in casa

Prendete 1 litro di panna fresca (darà circa 400 grammi di burro), montatela a neve, montatela ancora, smontatela, continuate a smontarla imperterriti.

Dopo circa una ventina di minuti avrete il vostro burro.

Se volete un burro aromatizzato lasciate in infusione nella panna liquida qualche foglia sminuzzata di ciò che più vi aggrada per 24 ore; filtratele prima di montare. Se volete del burro salato…basta un po’ di sale nella panna liquida.

Articolo pubblicato originariamente su ESSEN – A Taste Magazine