L’Osteria Senz’Oste

3 marzo 2013 ESSEN - A Taste Magazine

L’osteria nasce dall’oste. Per una volta la discendenza è chiara, niente questioni di primato tra uovo e gallina: senza oste nessuna osteria, è evidente.

L’etimologia è il francese antico oste (moderno hôte) di derivazione latina da hospis (-tis) “colui che dà o riceve ospitalità”.

OSO2

L’ospitalità, così come si trova definita nei moderni dizionari, prevede cortesia e affabilità, caratteristiche che non sempre hanno connotato l’atmosfera dell’osteria nei secoli.

Bettole e taverne erano osterie alla stregua dei locali con cucina che nell’Ottocento tanto piacquero a Pellegrino Artusi da fargli affermare come questi luoghi fossero i depositari della memoria gustativa italiana.

OSO3

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un sostanziale revival del termine che viene sempre più spesso associato a locali che poco hanno a che fare con la forma tradizionale dell’osteria e che nascondono (con snobistica falsa modestia o modaiola superficialità), al contrario, locali pretenziosi e à la page.

Per carità, non tutti i ristoratori che decidono di ricorrere al termine “osteria” ci giocano sopra, non fraintendiamoci; molti però, diciamolo, lo scelgono perché “fa figo”, se poi lo si declina in un arcaico “hostaria” fa figo il doppio.

OSO4

In realtà ci sono ancora tante osterie vecchio stampo, dove il prodotto locale non è necessariamente un presidio Slow Food ma il salame del contadino (sia chiaro, un contadino che fa le cose per bene, ma pur sempre un produttore casalingo, con buona pace dell’A.s.l.) e i bicchieri sono consumati dai troppi lavaggi e dai molti brindisi. Ci sono osterie che ancora oggi si ostinano a non diventare “osteria con cucina” e servono solo da bere, permettendo agli avventori di portarsi il “cartoccino” da fuori: a Bologna, l’Osteria del Sole (solo per fare un nome) accoglie chiunque dal 1465 e benché una famosa incisione del bolognese Giuseppe Maria Mitelli (“Giuoco nuovo di tutte l’osterie che sono in Bologna”, 1712) appunti sotto lo stemma del sole “buone frittate”, la prerogativa del locale non è mai stata cuocere uova, quanto piuttosto essere un luogo di incontro nel cuore del vecchio Mercato di Mezzo, centro cittadino.

OSO5

Allontanandosi dal centro cittadino, allontanandosi da Bologna, allontanandosi anche dall’Emilia, qualche centinaio di chilometri a nord-est, esiste un luogo che è un paradosso.

É l’ “Osteria senz’oste”, a Valdobbiadene, in provincia di Treviso.

Tra le colline lievi ai piedi del monte Cesen, tra le vigne che ogni anno producono uno dei migliori Prosecco italiani si nasconde un piccolo, piccolissimo rustico che si affaccia sui 106 ettari di produzione del Cartizze.

OSO6

L’Osteria senz’oste è un paradosso, dicevamo. Non esiste osteria se manca l’oste eppure questo luogo che sfugge al tempo e allo spazio sfugge anche alla logica stringente della significazione e nel  cortocircuito semantico del nome concentra la sua sfiziosa peculiarità offrendo affabilità e cortesia insite nel concetto di ospite proprio attraverso la sua assenza.

In questo piccolo angolo di paradiso, perché di questo si tratta, c’è un’incantevole vista sulla piccola valle, una piccola stanza con un piccolo frigo, un piccolo camino acceso (quando la stagione lo richiede), una piccola dispensa e qualche sedia. Frigo e dispensa sono sempre ben forniti: Prosecco e Cartizze di qua, salami, coppa, formaggi (tutto rigorosamente sigillato e sottovuoto) e pane di là.

OSO7

Al muro coltelli e taglieri aspettano che il visitatore gentile faccia la sua scelta.

Il valore (non il prezzo!) dei prodotti è riportato sulla confezione e l’ospite lascia il suo obolo nel più classico dei maialini salvadanaio.

E’ un luogo intimo, magico, dove viene naturale abbassare la voce, come fossimo in una chiesa o in un museo anche se tutt’attorno non ci sono affreschi, tele, crocefissi e sculture ma solo qualche vecchia sedia di legno e un po’ di salumi appesi. Non vi sono indicazioni per arrivarci, non vi si fa pubblicità e anche qui, parlandone, voglio restare il più vago possibile; d’altronde questo è un luogo virtuale di spunti di riflessione… “ceci n’est pas un compte rendu” (direbbe Magritte) anche se a qualcuno potrà sembrare, semmai un invito per una caccia al tesoro.

Per un duplice omaggio all’Osteria del Sole e a Pellegrino Artusi una ricetta integralmente tratta da “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.

151. Frittata in riccioli per contorno.

Lessate un mazzetto di spinaci e passateli dallo staccio.

Sbattete due uova, conditele con sale e pepe e mescolate fra le medesime i detti spinaci in tal quantità da renderle soltanto verdi. Mettete la padella al fuoco con un gocciolo d’olio, tanto per ungerla, e quando è ben calda versate porzione delle dette uova, girando la padella per ogni verso onde la frittata riesca sottile come la carta. Quando sarà bene assodata ed asciutta, voltandola se occorre, levatela, e col resto delle uova ripetete o triplicate l’operazione. Ora queste due o tre frittate arrocchiatele insieme, tagliatele fini a forma di taglierini, che metterete a soffriggere un poco nel burro, dando loro sapore con parmigiano, servendovi poi di questi taglierini per contorno al fricandò o ad altro piatto consimile. oltre a fare bella mostra di sé, questo contorno, che riesce bene anche senza gli spinaci, farà strologare qualcuno dei commensali per sapere di che sia composto.”

Articolo pubblicato originariamente su ESSEN – A Taste Magazine