Sobrietà culinaria e opera d’ingegno

12 maggio 2013 ESSEN - A Taste Magazine

Bigoli o udon? Un’ “ombra de vin” o il sakè tiepido? Cicchetti o sushi? Cosa preferiva, se una preferenza c’era, Carlo Scarpa, il grande architetto veneziano innamorato del Giappone?

 

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La fascinazione di Scarpa era la fascinazione per un’intera cultura per cui è lecito (e curioso) chiedersi anche se accordasse una qualche preferenza alla cucina di casa o a quella del Sol levante o se gustasse volentieri a giorni alterni baccalà mantecato e sashimi.

 

Il legame tra Scarpa e il Giappone si inserisce comodamente nella tradizione millenaria degli scambi e delle influenze reciproche tra Venezia e l’Oriente, di cui anche la cucina lagunare è uno specchio fedele: l’ingente uso del riso, dapprima venduto come medicinale e poi base di alcune delle ricette must come i “risi e bisi” o i “risi con l’ua”; le sarde in saor, i “cugoli”, solo per citare i grandi noti.

 

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Ancor prima di visitare il paese nel 1969, in un lungo viaggio su invito della prestigiosa società produttrice di mobili Cassina, il Giappone stimolava Scarpa che in gioventù era stato vicino agli ambienti di Cà Pesaro, dove negli anni venti del Novecento Nino Barbantini, segretario dell’opera Bevilacqua la Masa, aveva raccolto nel Museo di Arte Orientale la vasta collezione del veneziano Enrico Borbone.

 

Nella biblioteca privata di Scarpa ci sono parecchi libri sul Giappone: oltre ad alcuni testi dedicati all’arte risaltano il Taccuino giapponese di Mario Gromo, che Scarpa userà come vera e propria guida di viaggio, e Il libro del tè di Okakura Kakuzo, un intellettuale conservatore della seconda metà dell’Ottocento che trova nella rituale cerimonia del tè (Cha-no-yu) l’ultimo baluardo alla “pericolosa” occidentalizzazione giapponese di fine secolo.

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Katsushika_Hokusai

Okakura temeva la visione individualista che la società di massa stava maturando nell’uomo occidentale e vi contrapponeva come unica via di salvezza la conservazione delle antiche tradizioni che portavano con sé uno spessore di storia e di lavoro infiniti, come la cerimonia del tè. Di origine cinese, importata in Giappone attorno alla fine del XII secolo (almeno quattro secoli dopo la sua nascita nei monasteri Chán) venne codificata definitivamente dal maestro zen, e maestro del tè, Sen no Rikyū, solo a metà del sedicesimo secolo. Ad aprire la strada a Rikyū era stato un altro monaco zen, Murata Shukō, che circa un secolo prima aveva elaborato il cerimoniale del chadō che eliminava ogni ostentazione dal “rituale mondano” in cui per alcuni secoli il Cha-no-yu si era trasformato ad uso e consumo dei ricchi aristocratici annoiati.

 

E’ questa sobrietà, questa semplicità che porta alla bellezza, che Okakura agogna; lo scrittore giapponese, tra riflessioni sull’arte, l’architettura, la filosofia Zen, i fiori (fondamentali nella cerimonia del tè) invita a cercare momenti di comunicazione autentica tra gli esseri, la natura, il mondo che li circonda.

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“Dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione” è il cuore della cerimonia negli insegnamenti di Sen no Rikyū, teorizzatore del wabi-cha, la semplicità assoluta, l’eliminazione di ogni ostentazione che appesantisce l’espressione fino ad una estrema sintesi di ogni forma.

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Utagawa_Kuniyoshi

Mi piace pensare, pur escludendo una mera trasposizione formale, che Scarpa abbia fatto sue molte di queste riflessioni, in realtà non ascrivibili soltanto alla cerimonia del tè ma comuni a tutta la filosofia Zen. La sua opera in questo senso è un wabi-cha architettonico dove ogni considerazione è data a coloro cui si rivolgono i suoi progetti, siano essi vivi o defunti come nel caso della meravigliosa e monumentale Tomba Brion a San Vito di Altivole (Treviso), commissionata da Onorina Brion per commemorare il marito Giuseppe Brion, fondatore e proprietario di Brionvega e progettata proprio al ritorno dal viaggio giapponese del ’69. Lo stesso Scarpa, per sua precisa volontà testamentaria, vi ebbe sepoltura: in un angolo discreto, dove il monumento si congiunge con il preesistente piccolo cimitero municipale, una lastra di marmo e cemento intarsiata, sobria e in comunicazione con il mondo che la circonda, protegge le spoglie del grande e “semplice” architetto.

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Il complesso monumentale è un capolavoro che porta il visitatore in un’altra dimensione. Ogni particolare è stato spogliato del superfluo per divenire punto di contatto tra l’occhio e l’invisibile metafisico.

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Utagawa_Hiroshige

Il cuore della Cerimonia del tè è, altresì, preparare una deliziosa tazza di tè, dove la “delizia” deriva senz’altro dalla forma e dai gesti dell’esecuzione ma non può prescinde dal gusto del matcha in sospensione. Questa relazione tra spirituale e formale è un’attitudine giapponese all’azione, anche in cucina: il rigore, il gesto, la consapevolezza della presenza sfociano in una concezione polisensoriale dell’atto stesso del mangiare oltre che della cucina, dove l’estetica e la forma funzionali al gusto, tendono sempre ad una raffinata sobrietà essenziale.

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Essenziale, come un po’ d’olio, cipolla e qualche alice sotto sale per condire quei grossi e ruvidi spaghettoni contadini che fin dai tempi della Serenissima sono vanto della cucina veneziana, credo proprio che il sobrio e raffinato Scarpa apprezzasse.

 

Bigoli in salsa secondo la ricetta dell’Academia Barilla

Ingredienti per 4 persone

800 gambi di bigoli (pasta fresca)

2 cipolle

80 gambi di sarde sotto sale

un bicchiere d’olio

sale e pepe

Preparazione

Lavare bene e pulire le sarde salate. Tagliarle a pezzetti e affettare le cipolle. Soffriggerle lentamente insieme nell’olio. Aggiungere due cucchiai d’acqua. Quando il composto sarà ammorbidito e le cipolle imbiondite, mescolare in continuazione per qualche minuto, per sciogliere cipolle e sarde. Cuocere i bigoli in abbondante acqua salata. Estrarli al dente. Condirli con questa salsa, aggiungendo un filo di olio crudo.

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Bigoli in salsa preparati da Stefano Rebuli - Tappobar Asolo. Foto di Panem Et Circenses per Essen A Taste magazine©

Bigoli in salsa preparati da Stefano Rebuli – Tappobar Asolo. Foto di Panem Et Circenses per Essen A Taste magazine©

Articolo pubblicato originariamente su ESSEN – A Taste Magazine