Ein Hungerkünstler è un’opera partecipata che parla di fame nel mondo attraverso il paradosso. Lo fa con una serie di dispositivi provocatori che si muovono tra i poli di scarsità e abbondanza. Mette a disposizione del partecipante l’opulenza ma rimanda continuamente il consumo fino al termine sorprendente dell’azione.
L’Opera
Il progetto Ein Hungerkünstler (lett. “Un artista della fame”) trae ispirazione dall’omonimo racconto di Franz Kafka del 1922.
Ein Hungerkünstler è un lavoro che affronta un tema molto difficile e delicato: la Fame nel mondo. Lo fa con un’opera partecipata composta da un’installazione e una performance che mette i partecipanti in una situazione ideale di condivisione del “piatto vuoto” con chi soffre la fame.
La chiave di lettura che unisce i due dispositivi è il paradosso.
L’installazione si compone di quattro dispositivi collegati che compongono gli elementi per una fruizione relazionale dell’intero lavoro.
I partecipanti entrano in fila indiana in sala tenendo tra le mani il piatto vuoto, che non dovranno lasciare in alcun caso, per tutta la durata dell’azione (dal momento dell’ingresso in sala 15 minuti circa). Nella sala sono allestite le opere “1758. Perché non riuscivo a trovar il cibo che mi piacesse” e “Il ricco buffet preparato con cura”. Ogni rivista è illuminata da una luce led puntuale, il buffet con candelabri da tavolo. Un timer digitale scandisce un conto alla rovescia che parte con l’ingresso in sala dei partecipanti. Le casse audio diffondono in sottofondo la lettura del racconto.
L’opera “1758. Perché non riuscivo a trovar il cibo che mi piacesse”, disposta in sala, si ispira all’omonimo racconto di Kafka “Ein Hungerkünstler” in cui si narra il declino di un “artista della fame” (questa la traduzione letterale del titolo che nelle edizioni italiane viene riportato come “Un digiunatore”) la cui fama di “più grande digiunatore di tutti i tempi” passa velocemente di moda con l’arrivo di nuove attrazioni per il pubblico fino a che, in punto di morte egli rifiuta l’ammirazione tributatagli in vita sostenendo di non meritarla in quanto il digiunare gli fu sempre facile non per forza di volontà e convinzione nella sua arte quanto piuttosto per una mera questione di gusto, non avendo mai trovato un cibo che gli piacesse. Questa conclusione grottesca e paradossale è tradotta attraverso l’installazione di 30 riviste di cucina (tutte del mese di Gennaio 2016) che raccolgono un totale di 1758 ricette e che vengono private della propria colorata e frizzante identità per divenire monotone e insignificanti in termini gastronomici (il nuovo significato paradossale è dato dalle citazioni del racconto e dalle definizioni stampate sulle nuove copertine bianche) così da riprodurre l’atteggiamento apatico e svogliato del digiunatore kafkiano.
Il mezzo rivista è scelto come simbolo di un tipo di intrattenimento superficiale un modo di approcciarsi al cibo che non è dato a chi soffre la fame; infatti la fruizione delle riviste, potenzialmente consultabili dai partecipanti, risulta molto difficoltosa dovendo tenere tra le mani il piatto vuoto: il messaggio è “chi soffre la fame (chi tiene tra le mani un piatto vuoto) non si può permettere di considerare il cibo un intrattenimento (non riesce a sfogliare riviste di cucina)”.
Le 30 riviste poggiano su leggii musicali. L’elemento musicale è anch’esso parte importante del racconto kafkiano, infatti il canto assicura che il digiunatore non stia mangiando e un’orchestra è presente alla fine di ogni sessione per festeggiare i 40 giorni di digiuno.
Da un paradosso ad un altro, molto più forte. La Fame nel mondo ha, in una nostra interpretazione, una matrice paradossale. Non si tratta di mancanza di cibo o di risorse, si tratta dell’impossibilità di averne accesso per tutta una parte di popolazione pur in assenza di ostacoli fisici concreti.
Questo paradosso si traduce formalmente nell’installazione “Il ricco buffet preparato con cura” teoricamente e praticamente a disposizione dei partecipanti cui però non viene consentito accesso nonostante non vi sia alcun impedimento o ostacolo fisico al tavolo, solamente sei guarda sala (i performer) che, a cadenza regolare di 5 minuti, comunicano ai partecipanti che “per il buffet, stiamo aspettando altre presone”.
Quando al termine dell’azione, scandita dal timer, (unico oggetto in sala oltre alle riviste e al buffet, così come l’orologio è l’unico oggetto nella gabbia del digiunatore – questo dà l’idea dell’importanza della dimensione temporale e dell’attesa, tanto per il personaggio kafkiano quanto per l’azione partecipata) i partecipanti sono invitati a restituire il piatto vuoto senza aver consumato cibo, gli artisti, ringraziando, compiono un gesto fondamentale che chiude concettualmente il lavoro. Consegnano ad ogni partecipante una stampa.
Sul fronte sono riportate le parole “stiamo aspettando altre persone” (formula usata all’interno della sala per protrarre l’attesa dei partecipanti); sul retro è riportata una cifra (795 milioni) che indica il numero di persone che soffrono la fame e che tengono in mano un piatto vuoto ogni giorno, non soltanto i 15 minuti di durata dell’azione.
Il buffet, intonso, alla fine della serata viene donato interamente ad un ente caritatevole concorrendo ad alleviare un poco le pene di chi soffre la fame vicino a noi.
Studio
Citazioni / parole chiave
“Perché non riuscivo a trovare il cibo che mi piacesse”
fame – piatto vuoto – digiuno – volontario/involontario – quantità – gusto – intrattenimento – gabbia
Riferimenti
Ein Hungerkünstler – Franz Kafka, 1922; “La tavola imbandita. Storia estetica della cucina”, Gualtiero Marchesi – Luca Vercelloni link racconto + articolo doppiozero.
Iconografia + didascalie
Focus Cibo
“Buffet: ‹büfè› s. m., fr. [di origine ignota] (adattato in ital., soprattutto nell’uso parlato, in buffè).”
Scelta e quantità alimentare sono, per la maggior parte di noi, attributi scontati oggigiorno. Chi “fruisce” in maniera critica forse prova a mettere in atto una serie di accorgimenti, chi non lo fa “consuma” indiscriminatamente, entrambi, comunque mettono in atto una volontà e, soprattutto, hanno una possibilità.
C’è, in tutte le situazioni mondane un momento preciso in cui tutti noi siamo disposti a mettere da parte la nostra qualifica di mangiatori specifici e partecipare volontariamente (magari anche solo per poterlo poi criticare) ad un convivio surrogato, quell’opulenza in pillole delle inaugurazioni che risponde al nome di “ricco buffet”, dove l’aggettivo “ricco” è sempre più spesso omesso perché è un po’ cafone, se poi la situazione è particolarmente elegante o trandy forse si omette anche il sostantivo ma poi, in sostanza, il buffet c’è lo stesso, sempre.
Al massimo non mangeremo a cena, faremo digiuno.
link al post Ein Hungerkünstler. Nullpunkt